CAPITOLO 1 Terra dei draghi – Una terra magnifica.

Il sole era già alto, anche se la spessa coltre di nuvole invernali lo copriva con prepotenza.

L’aria fredda e pungente di dicembre portava qualche fiocco di neve e la brina ornava come una collana di perle i fili d’erba alta del morbido prato adiacente alla reggia. Il panorama era di una bellezza sconfinata e inviolabile, tutto protetto da un’atmosfera di rispetto e riservatezza. Ma a parere di tutti gli abitanti la stagione più bella era l’estate: nella terra dei draghi sbocciavano fiori leggeri come seta e morbidi come velluto, il mare si rendeva cristallino e sul fondo le creature acquatiche giocavano allegre come bambini; il cielo aveva il colore dell’oceano con cui si fondeva in una linea brillante di luce solare, là sull’orizzonte e creava una specie di scogliera da cui prendevano il volo i sogni e le leggende dei mariani. La primavera e l’autunno erano stagioni di transito, due ponti che rendevano lento e graduale lo scorrere delle stagioni in modo da coglierne ogni piccolo dettaglio ……..

Un sacco di gente in alcuni punti dell’anno si radunava sulla terrazza del palazzo per salutare la nuova stagione e dire addio a quella vecchia: il cambiamento contagiava tutti e le feste duravano giorni interi, gli arazzi colorati svolazzavano leggeri, le risa risuonavano spensierate e l’aria si riempiva di profumi e suoni davvero speciali, che per un’abitante della terra dei draghi sapevano di casa e di tradizioni.

Ma a quell’ora dell’alba non c’era nessuno sulla terrazza, e anche la persona incappucciata che varcò la vetrata pareva saperlo: si tolse il mantello e lo appoggiò con noncuranza sul cornicione, una cascata di capelli neri e ricci, lucenti e morbidi, scese fino a metà della sua schiena stretta nel corpetto di camoscio. I calzoni erano di pelle, verde e sbiadita, e avvolgevano le gambe robuste e snelle, i piedi erano nudi, gli stivali blu gettati in un angolo.

La casacca che indossava era viola e copriva di poco la cintura rossa che cingeva una vita magra, gli occhi puntati su un panorama invisibile, lì all’orizzonte.

Malikyeo amava stare sulla terrazza a quell’ora del mattino: stare da sola non la riempiva di pensieri, come accadeva a certe persone; lei dopo quel breve tempo si sentiva libera da tutti i suoi problemi e i suoi dolori, senza sentirsi in colpa per averli dati a qualcuno …. E quando non c’era motivo di essere tristi, questa sua strana abitudine diveniva solo una rilassante routine.

Essere principessa era una cosa che lei spesso accantonava, tendeva a nascondere quella sua differenza e col tempo anche le sue amiche e i suoi compagni di scuola avevano imparato a farlo: aveva voluto frequentare la scuola pubblica fin da piccola: stare chiusa nel palazzo la metteva a disagio. Sua madre la aveva appoggiata più di tutti in quella sua decisione, poi se n’era andata ….. nessuno sapeva dove. La nostalgia la prendeva alla gola tutte le volte che non la vedeva di fronte all’ingresso dell’istituto; e a volte quella nostalgia la prendeva alla sprovvista anche nei suoi momenti di solitudine, lì sulla terrazza, mentre guardava le steppe, i prati, il mare e i boschi della terra dei draghi e pensava alla gente che le abitava, ai suoi fiori e ai suoi animali.

Perché sì, suo padre era re di quel territorio da moltissimi anni, e lei spesso lo accompagnava negli affari politici e nelle feste tradizionali; ma quel patriottismo, quell’amore per la terra in cui era nata e che trovava bellissima tutte le volte che si affacciava alla finestra, quell’empatia per il suo popolo e tutto il rispetto che nutriva per le creature di quel posto, quella era tutta l’eredità che sua madre le aveva lasciato nel cuore.