Mai scarabocchiare i fogli

La stanza all’ultimo piano di una villetta, la finestra aperta sul cielo notturno e l’abat-jour accesa che proiettava ombre sinistre sul foglio protocollo bianco e sulla ragazzina che, meditabonda, teneva la penna sollevata a mezz’aria, attendendo di avere l’idea giusta per sviluppare il suo tema “ESSERE ALUNNI è MEGLIO”. I pensieri svolazzavano come fantasmini nella sua testa, ma si materializzavano sul foglio in forma di stilizzati e incomprensibili scarabocchi.

Mavis aveva una grande voglia di aggiungere un bel NON al titolo: “ESSERE ALUNNI NON è MEGLIO” pensava.

Ora la penna andava libera sul foglio, disegnava semplici omini.

-Sono le 10:30 e non ho ancora iniziato- Mavis ricalcava un omino in particolare.

-Potrei dormire e alzarmi presto domani- il ghirigoro mosse un braccio ma Mavis, ignara di tutto continuava a parlare tra sé.

-Forse se tenessi la mia gatta sulle ginocchia, avrei più ispirazione- ora l’omino muoveva entrambe le braccia e il collo.

-Magari mangio qualcosa …..- le gambine dello scarabocchio presero a scalciare.

-Al limite mi faccio fare una giustifica e porto il tema alla Monacres per sabato- Mavis abbellì il disegno con due canini aguzzi in una bocca sorridente.

-Posso organizzare di nuovo le idee- il paciughino ghignava malefico con gli occhi che scintillavano.

-Facciamo così: bevo un bicchiere di succo e poi ci penso-

Ma mentre si alzava dalla scrivania, notò che l’omino con i denti aguzzi non c’era più. “Sciocchezze” pensò guardando la carta immacolata, ma intanto una strana macchia nera si muoveva sulla parete.

Mavis, in cucina, sorseggiava il suo succo alla pesca tranquillamente, rimirando i riflessi della luna sul bicchiere. Poi un rumore di passi attirò la sua attenzione.

Si voltò a guardare l’ingresso e trattenne a stento le urla: sulla soglia, alto quanto il suo dito indice, c’era l’omaccino con i denti aguzzi che la guardava serio.

Mavis inorridì e strinse spasmodicamente il bicchiere. Lo scarabocchio ammiccò e le sorrise: -Ciao,Mavis, bella bambina- la sua voce era acuta e sibilante.

-Facciamo un gioco, ti va? Dai, giochiamo insieme- la ragazza sentì di avere una voglia matta di dargli ascolto.

-Ora prendi il coltello, Mavis … non quello, questo più grande- lei lasciò cadere il bicchiere, ignorando il succo che si stava spargendo sul pavimento e che le si era rovesciato addosso. Piuttosto, afferrò un rozzo coltellaccio da bistecche, grande quanto il suo braccio.

L’omaccino continuava con il suo tono suadente: -Potalo all’altezza della pancia … così brava. E adesso affondalo, ancora, sì… di più, di più!- prese a ridere istericamente e la sua risata fece riemergere Mavis dall’ipnosi: aveva sporcato tutta la cucina, sangue ovunque …….. aveva un coltello infilato fino a metà lama nello stomaco! Alzò lo sguardo sullo scarabocchio che si stava sciogliendo in una macchia di inchiostro e bianchetto sul pavimento, poi urlò così forte da scuotere tutto il vicinato.

La portarono via la mattina dopo in barella, per ricoverarla d’urgenza. Suo padre discuteva disperato con i medici, sua madre le teneva la mano e le mormorava qualcosa. La mascherina faceva notare che Mavis respirava affannosamente, mentre con gli occhi sbarrati fissava la finestra della cucina ancora aperta … lo vedeva solo lei? Quel che era certo è che, sul davanzale, il malefico disegnino con i denti aguzzi c’era ancora: sorrideva sadico, era al limite della pazzia e reggeva il coltello …. ancora rosso di sangue.