Ore 22: biblioteca

Stanotte sono rientrato tardi, non ricordo quasi nulla ma sento che è stata una nottata lunga.

Sono eccitato nonostante la stanchezza, sono tutto un fremito e mi sento trionfante: come se fossi ubriaco, o drogato magari ……

È domenica e non devo andare all’Università dove la piccola, leziosa, ingenua Margot saltella per i corridoi con l’agenda del nostro professore, Martin Edwens, sotto il braccio. Vale come oro, quell’agenda. È un bel taccuino: la pelle lucida, il segnalibro di seta, la rilegatura fatta a mano, le pagine di carta ingiallita fitte della calligrafia minuta ed elegante del professore o di quella rotonda e scarabocchiata di Margot …. non sopporto quella scrittura e non sopporto lei, non sopporto il sorriso felice che sfoggia quando il prezioso blocchetto luccica in mezzo alle sue dita. Non la sopporto, perché quel trofeo doveva essere mio: lo meritavo perché passavo tutte le sere a mettere in ordine l’ufficio di quel tacchino di Edwens e non perché ne ero l’amante. Lo meritavo perché di Margot ho non uno o due, ma ben tre anni in più! Questo mi assicurava il più roseo dei futuri: a passeggiare per la scuola, intessere le lodi per il professore e più avanti prenderne il posto. Un’ascesa semplice che quella maledetta ha rovinato.

La dovrò eliminare, sono sicuro che prima o poi la farò fuori. Pensarci non mi dà più quel brivido …… è come se adesso, nel mezzo del mio salotto, con la tracolla lisa sulla spalla, io quell’assassinio l’avessi già compiuto.

Mollo la cartella e mi avvio verso la cucina per prepararmi del caffè, sento ancora quella soddisfazione invadermi il petto e non riesco a togliermi questo stupido sorriso dalla faccia, però sto bene. Mi concedo un minuto davanti al davanzale a guardare Lione svegliarsi. Appoggio una mano al libro che è appoggiato sul piano di marmo sotto il vetro: Libro di Rune antiche, di François Lu Cebary. Ne sfoglio le pagine: quasi tutti i simboli invocano cose brutte: morte, incidenti, dolore, rapporti burrascosi. Alcuni schizzi sono rimarcati e qualcuno ci ha scritto o disegnato accanto parti del corpo in maniera estremamente realistica. “Delinquenti” ringhio pensando alle persone che hanno strappato le pagine di cui adesso accarezzo i resti “Come faccio a leggere un libro che passa dalla pagina 345 alla 352!?”. Chiudo il volume, guardo le macchie scure sulla copertina. Accendo la TV: al telegiornale parlano di cronaca.

“Una ragazza è stata brutalmente uccisa la notte scorsa in biblioteca” gracchia il giornalista, le ultime parole mi fanno drizzare i peli sulla nuca. “Il corpo è coperto di incisioni fatte con un’arma a doppio taglio, la gola è recisa in maniera grave, c’è sangue ovunque e segni di lotta non mancano”. Inquadrano parti distinte del cadavere: -Quelle non sono incisioni- penso rivolto al giornalista-Sono Rune!-. non mi chiedo come mai lo so, ma inconsciamente lascio cadere la tazza con il caffè. Mentre ne raccolgo i cocci, c’è un’interferenza e ricompare il barbuto giornalista che annuncia: “Non ci sono fonti certe sul nome della vittima, dal volto sfigurato non è possibile effettuare un riconoscimento. I capelli sono stati tagliati dall’assassino e si possono vedere solo gli occhi verdi ….. tuttavia si è presentata una coppia che afferma di aver salutato la figlia l’ultima volta prima di lasciarla andare in biblioteca a studiare lo scorso pomeriggio. Attendiamo maggiori informazioni. Nel frattempo abbiamo alcune immagini in esclusiva”

Lo schermo si oscura. Compare una scritta:

“SCONSIGLIAMO A PERSONE SENSIBILI DI VEDERE LE SEGUENTI IMMAGINI”

Poi il viso martoriato e livido del cadavere viene proiettato sulla schermata. Il gongolare di prima esplode: in parte è gioia pura, in parte autentico panico. Sono scosso dai brividi, singhiozzo come un bambino mentre parlando da solo tento di spiegarmi che io non posso essere stato.

Io l’ho pensato, tante volte, l’ho progettato, ma erano sciocchezze. Margot non è la ragazza morta in biblioteca (anche se ci assomiglia moltissimo) e io non sono il suo assassino. Non sono io, non sono io e visto che la parte più remota di me non sembra convinta ripeto ad alta voce: “Io non ho ucciso nessuno perché io ieri sera ero, ero ……..”.

DOV’ERO!?!?!?1?!?!?!?!?!?

In biblioteca a restituire il libro, che però è ancora lì! Corro in salotto e svuoto la tracolla: il cellulare, il portafoglio, alcune copie del mio curriculum, il blocco per appunti, qualche pagina strappata e incrostata di rosso. L’agenda …. è lì. È tutta intrisa di sangue, l’odore mi fa salire la nausea mentre la apro e leggo: “I libri della mia anima e la biblioteca del mio cuore hanno il tuo nome Margot. Con Amore,Ed”.

Avvampo e sbatto l’agenda per terra. La rabbia sfuma e torna il panico.

Raccolgo i fogli accartocciati e li liscio: simboli fitti di appunti sono coperti da un sottile velo cremisi. Mi avvicino tremante al davanzale e apro il libro di rune a pagina 345, faccio combaciare le pagine che ho in mano con gli strappi una dopo l’altra: 346, 347, 348, 349, 350, 351.

Grido di terrore e getto il tomo contro il vetro che cade fuori dalla finestra mandandolo in frantumi. Le schegge mi cadono addosso e per scrollarmele scuoto i pantaloni: dalle tasche cade un coltellino con la lama aperta, ancora macchiata. Faccio tutto senza pensarci. Corro in salotto, il coltello in una mano, l’altra che raccoglie l’agenda di Edwens, che le da fuoco con fiammiferi che nemmeno sapevo di avere. Il fumo e il sangue si mescolano, le fiamme avvolgono la massa cespugliosa che prima erano i capelli di Margot. Piccolo souvenir della mia intensa serata.

Mi passa davanti ogni momento della nottata: ogni fruscio che sono stato attento ad evitare per arrivare alle spalle della mocciosa e trascinarla nel luogo che avevo studiato per il mio capolavoro, ogni urlo che Margot ha lanciato mentre il custode fuori dalla porta che avevo chiuso a chiave bussava terrorizzato, ogni goccia di sangue che copriva il pavimento e macchiava le corde con le quali avevo legato la mia vittima alla sedia, ricordo ogni lacrima che le bagnava il viso mentre io facevo il mio lavoro in soddisfatto silenzio, ogni milligrammo di gioia che mi scosso nell’andarmene senza nemmeno chiuderle gli occhi spenti e allucinati. Più di tutto, ricordo ogni centimetro di lama affondare nella sua gola e sento quel momento incredibilmente vicino, vedo l’acciaio minacciare il mio collo.