Hidden In The Fog

Oggi il clima è la quintessenza dell’Emilia: c’è una nebbia che si taglia con il coltello.

Sono ferma al cancello, con la bici accanto. Non sono obbligata a stare lì, eppure non mi muovo; fisso l’ingresso senza vederlo.

Sono spenta, c’è un malessere che mi tormenta da settimane.

Forse è per la sua lontananza, perché non ho compreso la rapidità degli ultimi cambiamenti, perché mi pesa che non mi tratti come prima. Forse sarebbe accaduto tutto comunque, forse se ne sarebbe andato ugualmente, forse non avrei risparmiato nemmeno una lacrima ….. perché forse non avrei trovato comunque le parole da dirgli, forse mi sarei comunque innamorata. Sono tutte ipotesi, perché adesso la verità non la so. Non so se ne ho bisogno. Mi dicono: “la gente nasce con i talenti di cui ha bisogno”; se io non ho bisogno di scoprire la realtà vorrà dire che semplicemente me la comunicheranno gli altri. Ma gli altri non arrivano e io non sono mai stata così sola.

Mentre legavo la bici, mi avvicinavo, all’ingresso, mi sedevo sulla panchina era come se fossi sigillata dentro un cilindro, un metro quadrato di nebbia opprimente, che però mi sta largo: dopo tutte le volte in cui mi sono sentita incompresa e abbandonata, dopo che tutto mi è scivolato via dalle mani, dopo che sono diventata una bambola vuota, oggi la foschia riesce addirittura ad entrarmi dentro.

Mi sento vuota: arida come un deserto, spazzato dal vento e celato dalla nebbia.

Inaspettatamente, in quel deserto inizia a nascere una piccola oasi; contemporaneamente sul mio viso fa capolino un sorrisetto. Per non farmelo scappare, guardo il ciglio del marciapiede, dove è iniziato il nostro gioco.

-Vado alle macchinette, vuoi qualcosa?-

-Dell’acqua-

Questo dieci minuti fa, vorrei invecchiare dopo aver bevuto quella stupida acqua.

Sono tutta indolenzita, rannicchiata come un gatto contro il freddo di novembre. Mi sento un calzino stropicciato. Una bottiglietta si materializza accanto a me sulla panchina: -Ma che …..?!-

-Scusa, mira scarsa- lui appare ridendo.

-Deficiente- ringhio, mi fa una linguaccia.

-I prof. mi vogliono parlare-

-Ok- non posso discutere con i prof. No?

-Solo dieci minuti, promesso-

-Fa pure-studia la mia espressione, poi annuisce e si gira scomparendo oltre la soglia.

Quando di minuti ne sono passati venti, mi alzo e faccio una camminata fino alla scala di emergenza dietro l’angolo. Mi siedo e aspetto: “Da qui non si vede l’ingresso, se esce non mi trova”. Sto per alzarmi quando qualcuno all’ingresso urla il mio nome: -Ale, dove sei?-

-Qui- mi sono sporta un po’.

-Non ti vedo. Ale? Ale?!-

-Ma sei handicappato o….- poi mi ricordo che con la nebbia lui non mi vede sul serio.

Bè, tanto vale divertirsi un po’. Torno accanto alla scala, in modo che non mi si veda.

-Sono nascosta-

-Dove? No ti trovo!-

-Nella nebbia- rido quando lo sento imprecare. Quando smetto non sento più la sua voce, o i suoi passi. Mi sporgo oltre il muro. Qualcuno urla e urlo anche io. Il mio aggressore mi afferra e inizia a farmi il solletico: -Ti ho trovata, ti ho trovata!!- è felice come un bambino.

Lo blocco contro il muro e inizio anche io a solleticargli il collo: -Ok, no. Hai vinto tu, va bene? Basta, smettilaaa!!!-

Lo lascio ansimante sul lastricato mentre riprendo fiato appoggiata al muro.

Quando ci siamo ripresi, lo aiuto a rialzarsi.

-Ma che scherzi fai?- sembra divertito e offeso insieme.

-Ci mettevi una vita! Io mi sono solo spostata!-

-Per sgranchirsi le gambe ….-

-ESATTO!- confermo.

-Colpa dei prof. Non mi mollavano-

-Sempre colpa loro……- dico sarcastica.

Allunga le mani minacciando di solleticarmi di nuovo e strillo come una bimba.

Lui mi abbraccia per farmi tacere e in quel momento una bidella si sporge dalla finestra e urla: -Siamo a scuola, non la mercato. Mai pensato di tacere?!-

Non credo ci abbia visto, nascosti dietro l’angolo. Ma noi ridiamo ancora abbracciati. Sento le guance calde, lui si stacca e mi sussurra: -Sei tutta rossa, sembri un puffo-

Lo stringo più forte. E lui non mi molla. È mio, adesso è solo mio.

Torniamo verso l’ingresso e i suoi genitori lo richiamano dentro.

Sono di nuovo sola ma felice come mai prima d’ora. Non siamo mai stati così vicini.

Mi risveglio quando sento qualcuno venire verso di me: è lui, mi ha raggiunto e mi guarda sorpreso.

-Mi aspettavi?- annuisco.

-Hai da fare adesso?- scuoto la testa.

-Oh, sveglia!!- mi schiaffeggia delicatamente, ridendo.

La nebbia si sta dissipando.

Alla fine schiudo le labbra: -Dai andiamo-.